Una terra
Tonda, gelida dei suoi oceani, trasparente
come una cellula sotto il microscopio
eppure orizzontale
con monti posati saldamente sopra i prati
con la lingua dei fiumi e il mare steso.
Solo a volte sospetto la vertigine:
ruotiamo più veloci. Dormendo grido “cado”
e là sento lo spazio, il nero, le stelle sulla nuca
lo spavento che vomita se stesso in mille sfere.
“Oh quello è l’inferno”, dici e ti addormenti.
Medito sull’inferno allora. Basta che muova il peso della tenda
facendo scorrere gli
anelli lungo il vetro. Vedo con esattezza:
un filo di formiche, la loro marcia, la grande notte stellata.
Provo a prendere l’inferno per un lembo (un po’ di nero, il vuoto, lo spavento)
per
farlo vorticare nel cortile
perché l’abete ruoti fino al cielo
per essere l’insetto che sono sempre stata:
che nasce e si dimentica nell’aria.