Inventario dell’aria
Nevica ora polline e luccica come manna
in alpe d’ocra incendiata, nevica
controluce albumi di lana come in taciturni
campi di cotone, le lanugini, i bioccoli,
nevica in cenni di ciclone, in baraonda di luce,
nevica fiamme di soffioni, fiocchi, grappoli
d’aria
e nuotano le genti, non vanno
ma vogano, pesci urbani in calzoni e pinne,
galleggiano su schiume di polline, le gonne
ombrèllano atomi d’ovatta, s’intana rapida
una polvere tra le trine che inguantano
l’inguine, e le spore più rade nel pube
spannano, dove io le seguo, fiutando
l’incenso delle carni che ribollono:
gli aloni di salsedine tra i seni, le scie
di chiome erbacee, le nuvole di fiati
speziati da ventri accesi,
e colgo
con rastrelli di seta stille
di polline su ciglia, e odo l’eco
dei bulbi di bambagia che posano
in pozze di nafta, in brecce
di bitume, e seguo, d’occhi ferito,
bionda la trota dalle poppe lucide
e tese squame, e taglio col remo
l’aria girando alla boa del semaforo
e tritoni indaffarati scivolano in grotte
di metrò con conchiglie all’orecchio
dove romba impazzito il mare
di commerci, e su tutto scorre
il nilo di bambagia, la furia
del polline sui corpi scontornati
nella piazza trilatera di San Sepolcro,
sulla cupola di platani a sonaglio
sordo, sulle panche dei bipedi stronchi
di stupore, spanti di piscio e seme
negli stracci belli di lino e velluto
perché ricchi di risa, incontinenti
come vecchi abbagliati nelle vampe
di polline, obliosi d’artrosi, punta
e tacco, di lato, passeggiano un vivo
tip-tap, e sciabola obliquo l’oro
del tramonto adagiato su creste
sedimentarie, sui tridenti e le aste
delle case, a bivacco nei balconi
e fiumi d’aria che si palpano
mentre la chiglia del petto scorre
le onde concentriche di polline
e il bimbo assorto nel golfo
del braccio materno si strozza
di lane e d’ossigeno: un felice
ciclista, in apnea nel polline,
si torce ad elica, e carpiando
rigido rimpalla in parabrezza
di volvo, e s’inasta su alieni
convogli la sua bianchi, erutta
sul posto la trita pasta e l’uovo
l’uomo alla guida, già ombra
di vivo incoronando il cruscotto
e polline tornerai, a manciate
ne gettano i passanti, così carnosa
è la luce che si muore bene
nel fogliame d’aria, il ritmo
anch’io di Eliot lo sento, batte
basso, nel sacco biologico, sotto,
mentre scariche di polline
torturano i natanti e i tassisti
nella conca di corallo del portico,
mi sbronzo di tanta manna, cedo
ogni mio poro, nervo, vena
a questo polline che veste l’aria,
a quest’aria che mastica gallerie
di luce, a questa luce smerigliata
in cui passano branchi di passanti
in fiamme, schiudendo vermiglie
branchie, in cui sfarinano i tronchi
di ghisa delle segnaletiche
e le balene di quindici piani
inghiottono esausti naufraghi
e per questa mutazione, miracolo,
cataclisma, ordigno surreale, per questo
eccesso, accesso di polline, pasto
nessuno ha pagato e verificato
o pestato chiodi o piallato
o digitato o spinto trapani
o condotto trattori, nessuno
ha firmato contratti, decretato
leggi, iniettato coma, formulato
strategie di vendita, eppure
viene, dolce apocalisse di polline
senza seppellire donne sotto fango
o aggredire cellule o devastare
nodi cerebrali, viene disarmato
senza schieramenti di carri
senza deterrente e guerriglia
senza polso fermo, viene
senza profitto, in perdita
secca, viene, si spappola, scompare
non so se cura la sua carezza
se spezza il collare, non so
se salva, se assolve, se è moneta
felice di tutte le brame, se è pane
e vino di fami e seti sterminate,
è una pura follia dell’aria,
gravidanza dell’aria, feconda
sepoltura del seme: non guarisce
fa di certo impazzire.