Morgue
Morto di fuoco
la sua pelle tira
è un rosa che si spegne
è carta morta,
solo il cartello non arde
con lo spago:
si specchia enorme nella mia pupilla.
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Sulla duna del naso
giusto un segno
come d’accetta,
incavo per i liquidi
e il colore dagli occhi: come stinti.
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Mezzo sguardo
di rosso,
un orizzonte
un cencio teso s’inchina la buco nero,
al mezzo schermo
e intanto
sotto il fuoco,
pendagli d’osso
il viso ricoperto,
la rispettata simmetria del morto.
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Polpastrelli caduti nel buio
e ritirati.
Imbevuti
e poi subito seccati
per la troppa corrente,
da un’apertura incerta
ma profonda,
di poco sopra il polso.
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Stigmate storta,
una mira presa male
adesso traccia asciugata,
un ombelico
ma senza organi dentro
solo tubi.
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Perdi gli occhi
annegano nel mare degli umori
e vitreo e acqueo si fondono
e pupilla,
una pasta ti cade tra le mani,
il pozzo di tutti i fotoni.
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Nelle curve di mani
nelle anse,
tutta quell’ombra
che cade male,
quasi grafite
e le conchiglie d’unghie
in tono con le macchie della pelle.
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Sei il più vicino al sonno,
bracciale di carta
etichetta per valigia già arrivata:
immerso
in questo scampolo
senza una richiesta,
il pallore così caro ai pesci,
mano nuda.
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Un abbraccio nell’aria
che non vedi,
braccio di gru
rimasto senza testa
in un attenti lontano anni luce:
la pelle e’ così ruvida,
l’ultimo brivido nella surgelazione.
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Si ritira dal viso la coperta
il sudario di plastica
opaco come latte andato a male,
scopre due piatti vuoti
due bandoni caduti sopra l’osso,
fermato ogni discorso.
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Toccare dito a dito
intorno al polso
e’ il segno del calzino:
e’ la sosta dei liquidi
col tempo.
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Non c’e’ campionatura
di quel suono,
puoi solo immaginare di quel passo
o la goccia che scende
e lo stinge.
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Seccata dal veleno, più una goccia
nel suo corpo un deserto:
anche il sangue di polvere
e dal taglio come grani di clessidra
perduti fuori dal meccanismo.
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Le unghie,
sorde al silenzio,
continuano il lavoro
perchè sanno
che il buio ha pochi appigli,
è tutto liscio e dritto come un pozzo.
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Sotto la superficie vento ed ossa
ma da qui luce e sul tavolo
la forma,
coperta,
vestito sul viso,
un’onda di detersivo che t’acceca.
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Un ultimo fotogramma tra le ciglia,
pupilla ferma nella sua cornice
mattonella,
la lacrima cagliata:
sul film la luce che s’impiglia
e vela ancora
l’occhio di vetro
la biglia opaca dal troppo dormire.
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Gli anni precipitati
nel vuoto
nell’orecchio
il tempo in soluzione,
l’occhio macchiato
di come punti o virgole lasciati
e sotto il pozzo nero della voce.
Corpo infeltrito da lavaggi sbagliati
e certe chiazze scure che non vanno
sono buchi
come d’insetto:
sei tarmata.
Ogni colpo di tosse
spengi una candela: il tuo e’ cuore di buio.